mercoledì 27 febbraio 2013

Fauja Singh, Il Maratoneta Centenario

Domenica 24 Febbraio il maratoneta di 101 anni Fauja Singh, ha appeso le scarpette al chiodo dopo aver concluso in 1h32:29 la 10 km della maratona di Hong Kong.

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"E’ uno dei giorni più felici della mia vita", ha dichiarato l’anziano uomo al traguardo, dove è giunto sventolando la bandiera di Hong Kong;  Fauja ha comunicato che comunque continuerà a correre per 15 km al giorno, per mantenere il suo stato di salute (sta benissimo e pesa 52 km!) e raccogliere fondi per alcune associazioni benefiche.
Incredibile la storia di quest’uomo, agricoltore per tutta la vita, divenuto maratoneta a 89 anni, dopo la morte della moglie e di un figlio; trasferitosi a Londra da un altro figliolo ha cominciato a correre per dimenticare e per scaricare la rabbia. Ben presto si è scoperto maratoneta e ha partecipato a quella di Londra (2000) concludendola in 6 ore e 54 minuti. Poi, ancora Londra, per altre 3 volte, e nel 2003 si migliora di 52 minuti; di lì a Toronto dove stabilisce il pb in 5h40. Decide così di andare a New York, ma è una delusione: mal visto dal pubblico per via del turbante e sofferente per una ferita ad un piede, riesce comunque a concludere la gara (7h35). Nove le maratone concluse dall’uomo, soprannominato “Turbaned Tornado”,  per via del tipico copricapo indossato, con l’ultima corsa da centenario nel 2011, ancora a Toronto, in 8h11:06. Da aggiungere, infine, che Fauja, da bambino, aveva cominciato a camminare solo a dieci anni a causa di una malattia che lo portava a non avere forza nei muscoli e a non riuscire a stare dritto.

domenica 24 febbraio 2013

A come Abbraccio di Massimo Gramellini



Cuori allo specchio Massimo Gramellini
 
LA STAMA 24/02/2013

A come Abbraccio

Può essere un abbraccio, può essere il coricarsi incollati l’uno all’altro, può essere il farsi un timido piedino. Il segreto per scovare la vera felicità è tutto qui: farsi avvolgere e travolgere dalle coccole. Parola di Anna Nathan Shekory, psicologa e antropologa di 36 anni che sulle coccole ci ha investito davvero parecchio, tanto da aprire a Londra la prima «Scuola dell’abbraccio», con workshop pratici per imparare a trovare gioia e appagamento nell’innocente incontro dei corpi. «E’ sempre più difficile abbracciare - spiega Anna, che nel tempo libero si divide tra la professione di educatrice di ragazzi in difficoltà e quella di assistente ad un mago –, oggi le persone passano molto tempo a socializzare virtualmente e una delle esperienze che più manca è proprio quella di un contatto fisico soddisfacente». 

Ai corsi partecipano persone di tutti i tipi, dagli studenti universitari ai pensionati, passando per operai, artisti e imprenditori, fino a donne vittime di abusi e che sono alla ricerca del coraggio e del piacere nel farsi nuovamente sfiorare da un uomo. Quello che tenta di fare Anna è riportare le coccole nella quotidianità, per esplorare la spontaneità di piccoli gesti in grado di mettere in connessione con gli altri. Anche nel nome della chimica: se un contatto fisico di poco più di 20 secondi produce effetti positivi sull’umore che possono durare fino a 24 ore è merito dell’ossitocina, un ormone prodotto dal corpo quando è sollecitato da sentimenti di cura e affetto. E quello che più le piace insegnare è l’abbraccio «fondente»: bisogna guardarsi negli occhi e chiedere all’altra persona il permesso di toccarla. Quando l’altra persona dice sì, e lo deve dire verbalmente, ci si stringe incrociando le braccia l’uno attorno all’altra. Poi si respira insieme per tre volte e ci si culla leggermente prima di lasciarsi. Infine ci si guarda negli occhi sussurrandosi ancora una volta «Grazie». E, assicura Anna, bastano due abbracci così al giorno per vedere il mondo con occhi nuovi. E portarsi a casa un Master in coccole.

sabato 23 febbraio 2013

I NOSTRI VERI DIRITTI

L'ASSERTIVITA'
 
 L'assertività (dal latino "asserere" che significa "asserire"), o asserzione (o anche affermazione di sé), è una caratteristica del comportamento umano che consiste nella capacità di esprimere in modo chiaro  le proprie emozioni e opinioni senza tuttavia offendere né aggredire l'interlocutore.
Secondo gli psicologi statunitensi Alberti ed Emmons, si definisce come «un comportamento che permette a una persona di agire nel suo pieno interesse, di difendere il suo punto di vista senza ansia esagerata, di esprimere con sincerità e disinvoltura i propri sentimenti e di difendere i suoi diritti senza ignorare quelli altrui».   Essa si può anche delineare come il giusto equilibrio tra due polarità: da una parte il comportamento passivo, dall'altra il comportamento aggressivo.

I diritti assertivi comprendono il rispetto di se stessi, delle proprie esigenze, sentimenti e convinzioni. Tali diritti sono necessari per costruire sentimenti e pensieri positivi come l'autostima e la fiducia. Riconoscerli e rispettarli significa anche riconoscerli e rispettarli negli altri.

I DIRITTI ASSERTIVI: 

  1.  DIRE NO ALLE RICHIESTE ALTRUI SENZA SENTIRSI IN COLPA
  2. IL diritto di fare qualsiasi cosa, purchè non danneggi nessun altro.
  3. IL diritto di mantenere la propria dignità agendo in modo assertivo, anche se ciò urta qualcun altro, a condizione che il movente sia assertivo e non aggressivo.
  4. IL diritto di fare richieste ad un’altra persona, dal momento che riconosco all’altro l’identico diritto di rifiutare.
  5. IL diritto ridiscutere il problema con la persona interessata, e di giungere a un chiarimento.
  6. IL diritto ad attuare i propri diritti ed al rispetto altrui dei propri diritti.
  7. IL  diritto di avere idee, opinioni, punti di vista personali e non necessariamente coincidenti con quelli degli altri.
  8. IL diritto a che le proprie idee, opinioni e punti di vista siano quanto meno ascoltati e presi in considerazione (non necessariamente condivisi) dalle altre persone.
  9.  IL diritto ad avere bisogni e necessità anche diverse da quelle delle altre persone.
  10.  IL diritto a provare determinati stati d’animo ed a manifestarli in modo assertivo se si decide di farlo.
  11.  IL diritto di commettere degli errori, in buona fede.
  12.  IL diritto di decidere di sollevare una determinata questione o, viceversa, di non sollevarla.
  13.  IL diritto di chiedere aiuto.



domenica 17 febbraio 2013

THE COLOR RUN

La COLOR RUN è la più famosa e stravagante una corsa del mondo che viene organizzata ogni anno in diverse città del mondo.
Per la corsa tutti i partecipanti devono indossare abiti bianchi che poi verranno colorati durante il percorso da alcuni volontari che lanciano sui podisti delle polveri colorate. Al traguardo una vera e propria festa accoglierà i partecipanti.



 
 

giovedì 14 febbraio 2013

LOVE

Che sia l'amore tutto ciò che esiste
E' ciò che noi sappiamo dell'amore;
E può bastare che il suo peso sia
Uguale al solco che lascia nel cuore.

Emily Dickinson

domenica 3 febbraio 2013

Venerdì, 15 febbraio 2013 ore 21.00


CONFERENZA
UN MILIONE DI PASSI VERSO SANTIAGO

 
Vizzolo Predabissi - MI
 
 
 

Il dilemma della donna capo: usare armi maschili o femminili?

Per arrivare in cima deve fare come gli uomini. Ma poi sono le stesse colleghe donne che pretendono da lei doti diverse: empatia e sostegno     
 di


 C’è un bel paradosso che complica la vita delle donne che arrivano ai vertici della carriera. E che perlopiù ci arrivano in quasi solitudine di genere, perché molte delle altre compagne di strada che copiose avevano cominciato a lavorare insieme a loro, hanno poi via via abbandonato l’agone per varie ragioni, perlopiù, si sa, legate alla famiglia.
Lo spiega bene, questo paradosso della donna al potere, una manager che ha fatto tutta la trafila e poi è rimasta, sino ad arrivare in cima: Karen Firestone, 56 anni, mamma di quattro figli, in un articolo pubblicato nel Blog della Harvard Business Review. Per parecchio tempo, e cioè durante tutto il periodo della salita, spiega Firestone, le donne si trovano a lavorare con gli uomini e a confrontarsi con le loro armi, e per arrivare devono sviluppare qualità, attitudini e comportamenti maschili: determinazione, decisione, grinta, autorevolezza, lavoro duro. Ma quando arrivano alla vetta del potere e si trovano a gestire gruppi misti, fatti di uomini e (per quanto in misura minore) di donne, devono rispolverare anche altre doti, quelle tipiche del loro genere, che avevano dovuto soffocare e mettere da parte nella scalata al potere.
E sono proprio le altre donne che lo reclamano: difatti le colleghe della donna capo rifiutano le sue doti di manager tradizionale, quel profilo costruito con tanta fatica sul modello maschile, e pretendono da lei doti di empatia, sostegno, sensibilità, apertura agli altri. E lo dichiarano anche, nelle ricerche di cui Firestone riferisce, che dalle donne si aspettano e pretendono reazioni e sostegni che non richiederebbero ai colleghi maschi. Insomma: di mettere da parte – almeno con le donne – tutto quello che le aveva portate fin lì.
Firestone racconta di una volta che una impiegata che lavorava con lei, sposata e senza figli, le chiese cosa ne pensasse del congedo di maternità. Lei le rispose che la stimavamo moltissimo e che l’avrebbero sostenuta nelle sue decisioni quando avrebbe deciso di avere un bambino.
“Ma lei volle mettere le cose in chiaro” racconta Firestone “e mi disse subito che lei non era una workaholic come me, e che si aspettava di poter contare su un lavoro da casa part-time per un bel periodo di tempo”.
“A quel punto” continua Firestone  ”riconosco di aver reagito in modo troppo emotivo, mi sono difesa dicendo che comunque io ero una madre sollecita e ben presente, insomma ho avuto una reazione esagerata. Ho capito dopo, a mente più lucida, che lei chiedeva soltanto di essere capita e ascoltata e rassicurata sul suo lavoro e sulla sua carriera, anche dopo una eventuale maternità. Lei voleva da me reale comprensione, mentre io le parlavo come un corretto capo del personale” conclude Firestone, facendo genuina autocritica.
Ma è molto interessante che a fare richieste così delicate siano proprio le altre donne, che in qualche modo aiutano le donne chiamate a gestire il potere a ritrovare dentro di sé le doti tipiche di genere e a reimparare ad usarle. Facendo quasi da levatrici e da sentinelle per imporre sul lavoro un codice diverso, più visionario e sicuramente vincente per sviluppare un’ organizzazione più moderna e flessibile.
Certo, non tutto è così semplice, soprattutto in un periodo di transizione per la donna: non bisogna eccedere perché le insidie sono dietro l’angolo, l’effetto gineceo da una parte e qualche reazione esagerata dal fronte maschile del gruppo, dall’altra. A me per esempio è capitato, quando ho gestito piccole comunità di uomini e di donne, di sperimentare quanto poco i maschi siano disponibili a fare sconti, anzi come siano più propensi a sfoderare un sordo antagonismo di fronte alla naturale solidarietà della donna capo con le altre donne, specialmente sul tema della maternità.
E proprio perché si sa che tutto si gioca su equilibri delicati e difficili, è necessario per la nuova donna capo trovare un mix giusto fra doti maschili e femminili, ricalibrando di continuo e con serenità l’alchimia.
Ma voi cosa ne pensate? E’ davvero percorribile questa strada, o la considerate ancora una sfida troppo ottimista?

http://27esimaora.corriere.it/articolo/il-dilemma-della-donna-capo-usare-armi-maschili-o-femminili/

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